Il 17 gennaio la chiesa ricorda Sant’Antonio Abate, figura leggendaria, realmente vissuta tra il 250 ed il 356 in Egitto.
Il Santo è considerato il vincitore per eccellenza del male-demonio avendo resistito a tutte le tentazioni.
E’ considerato il guaritore dell’herpes volgarmente detto “fuoco di Sant' Antonio”.
Da ciò deriva l’usanza di accendere, la sera del 17 gennaio, dei falò detti “fuochi di Sant’Antonio”.
E’ considerato il Patrono del fuoco.
Le reliquie del Santo vennero traslate da Alessandria d’Egitto nella piccola Chiesa S.Antoine de Viennois in Francia.
Numerosissimi i malati che accorrevano tanto che si rese necessario la costruzione di un ospedale con la fondazione degli Antoniani per l’assistenza dei malati.
Qui è nata la leggenda del maialino.
E’ certa al loro presenza a Serritella.
A Volturino la devozione al Santo è molto diffusa.
E’ certo che fino agli inizi del 1900 per le vie del piccolo centro girava, libero e ben accolto da tutti “U purcell de Sant’Antonie”, con un campanello al collo e di notte andava a dormire nel forno.
Si vendeva, in genere nella prima settimana di gennaio a un prezzo simbolico.
Veniva quasi sempre acquistato da un possidente del paese dando tanto quanto era necessario per festeggiare il Santo.
La sera del 17 gennaio si accendevano diversi falò, uno per quartiere.
Attorno ad essi le famiglie si intrattenevano fino a notte inoltrata al suono di qualche strumento musicale, si cantavano stornellate paesane “i sciambule” mentre si abbrustolivano e subito si consumavano ceci e fave.
I bambini giocavano ad indovinelli, stringendo stretti tra i palmi delle mani un certo numero di quei semi abbrustoliti, ancora caldi e dicevano: “A lorce a li porce, a li quanti?”.
Se l’altro indovinava tutto era suo e si udivano grida di gioie, altrimenti, si doveva dare il quantitativo che aveva indicato.
Quando i falò stavano per spegnersi, ogni capo famiglia prendeva in un vecchio tegame “U teste” un po’ di cenere e brace per aspargerle dietro tutti gli usci di casa.
Segno di purificazione e di richiesta di protezione al Santo. Di queste tradizioni non è rimasto nulla.
I falò, curati dai giovani con la partecipazione gioiosa dei bambini, erano in uso fino al 1981 allorchè il sindaco dell’epoca li proibì “per motivi igienici”.
La fede-tradizione si scontrò con l’ordinanza sindacale, ci furono denunzie e processi.
La tradizione non cessò ma qualche sparuto falò veniva acceso alla periferia del paese. Quest’anno l’Associazione Pro Loco, previa autorizzazione del Sindaco, ha rievocato la vecchia tradizione con la frenetica preparazione del falò nel centro urbano (Largo Croce).
Sin dalle prime ore del mattino la gente del luogo si è cimentata, come consuetudine, nella raccolta della legna per costruire una catasta di ragguardevole dimensione.
Il falò ha richiamato la cittadinanza e attorno ad esso persone di tutte le età si sono intrattenuti fino a notte inoltrata cantando i sciambule (stornellate paesane) e ballando al suono di strumenti antichi e moderni mentre sul fuoco la carne arrostiva e ceci e fave si abbrustolivano. Il tutto accompagnato da un buon summarrel (vino d’uva di Troia) ha ricreato quella tradizione che rischiava di finire nel dimenticatoio.